Giovane militare Gianni e Rodolfo Mitica Vespa: in gara Sempre avanti Birmania Radio Monte Grappa

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Sei in : La guerra _ Quattro personaggi non comuni _  Pagina 1 di 1

Sopra ho storpiato il mio nome Moro in Morie  vi spiego il perché. 
In batteria c’era il sergente Petrollini Rosvelto, da Isernia, il quale con il suo parlare meridionale aveva un modo che storpiava tutti i nomi: il sottotenente Moro per lui era il Tenente Mori, invece il sottotenente Tosi per lui era il tenente Toso. Si spacciava
per studente universitario prossimo alla laurea in ingegneria; per dar credibilità al suo dire aveva acquistato il Manuale dell’Ingegnere, conoscevo benissimo questo libro, avendolo consultato più volte nella mia professione di geometra. Nei momenti di riposo il Petrollini girava per il paese con il manuale sotto il braccio per far vedere, a tutti, la sua intelligenza. Quando per sondarlo le chiedevo certi quesiti, lui pronto: "A signor tenente, anch’io ho studiato su questo tema" e non sapeva dirmi altro, allora per non dirgli in faccia "Guarda che sei tonto" lasciavo cadere il discorso. Lo chiamavamo Petrò ed il padre, emigrato per un certo tempo in america lo aveva battezzato Rosvelto strorpiando il nome dell’allora presidente americano.

Primo Bernini, mio attendente da S. Miniato al Tedesco in provincia di Pisa. Soldato buono, preciso, grande lavoratore, ordinato, rispettoso e chi più ne ha più ne metta per qualificare questo ragazzo. Inizio dal suo primo racconto: Bernini è al fronte russo e fa continui servizi di guardia notturna ai pezzi. Una notte, quello che lo doveva sostituire, dorme più del dovuto e non gli da il cambio, al mattino trovano il povero Bernini senza sensi, duro come un baccalà tutto congelato.
Corsa all’ospedale più vicino: non ricorda nulla, sa solo che dopo un tempo a lui sconosciuto, riesce ad essere cosciente, ma non è capace di muoversi, di parlare, di battere le palpebre, di non fare qualsiasi movimento con il corpo... finché un dottore, forse capitato là per constatarne la morte, vede il movimento della mano. "Ma questo è vivo..., infermiera... infermiera...", grida il dottore. Così dopo una settimana riesce a muovere gambe, braccia, testa, ma la parola esce a fatica. Lo portano in Italia, frequenta un corso speciale per l’acquisto della parola. Ci riescono, ma Bernini è balbuziente all’infinito. Le prime parole escono in ritardo, come se il cervello le mettesse in un computer e poi abbassando un tasto escono quasi con rabbia. I "moccoli", quelli invece scaturiscono come un uragano.
Un fatto: eravamo nell’Umbria con la batteria distesa su un prato, vicino c’era un campo di mais; il Bernini è nella piazzola intento a mettere in ordine i proiettili, quando me lo vedo precipitare sotto la mia tenda, che dista una diecina di metri, e mi fa un cenno: agita due dita rivolte verso l’alto, intuisco... una lepre, prendo il fucile, carico e piano esco. La lepre, che era a circa 15 metri da noi, si accorge e trotta per entrare nel mais. Con due salti le sbarro la strada, vista la mal parata questa volta a destra e corre per il lungo prato. Alle mie spalle sento il Bernini che grida: «Pi... pi... pi... pi... porcaccio...», giù un moccolo «Pigliala tenente». Sparo e il giorno dopo si mangia lepre in salmì. Questo era Bernini che oltre a farmi l’attendente era inserviente al terzo pezzo. Alle volte si sparava di notte anche per più ore, a intervalli, ed al cessate il fuoco tutti tornavano alle proprie tende a continuare il sonno interrotto; il Bernini invece ordinava i bozzoli sparati, le munizioni abbandonate, scopava per tutta la piazzola e al mattino i suoi compagni trovavano ordine e pulizia, tutto questo senza il comando del capo pezzo, l’ordine e la pulizia per lui erano una missione. Quando liberarono Firenze andò a casa in licenza, non lo vidi più, certamente chiese congedo e ritornò a coltivare il suo abbondante podere coi suoi due fratelli.

Noè Nardi, da Lonigo in provincia di Vicenza, era stato in Russia come mitragliere. Un giorno in una incursione aerea russa si destreggiò talmente bene alla mitragliatrice che riuscì ad abbattere un aereo. Festa grande con i suoi compagni e superiori e dopo poco "Croce di Guerra al Valor Militare". Mi raccontò che quando il Comando Militare di Vicenza mandò un ufficiale a casa di Noè, per comunicare a sua madre l’onorificenza concessa a suo figlio, questa vedendo un militare che le comunicava notizie di suo figlio, credendo portasse la ferale notizia della morte di Noè, si mise a piangere disperatamente e ci volle un bel pò perché l’incaricato spiegasse che il figlio non era morto anzi aveva ricevuto una onorificenza militare.
Un giorno mi raccontò che a casa sua ruppe, inavvertitamente, un piatto. La madre si mise a rimproverarlo e continuava a dire: "Ma Noè come gatu fato" ... "Ma mamma go roto un piato, non cascarà el mondo per un piato roto». L’altra continuava: "Noè te sa chel costa schei... come gatu fato"... e via ogni tanto con questa cantilena. Noé esasperato prende un piatto e dice 
"Varda come go fato mamma" ... e nel così dire scaraventa con veemenza il piatto per terra e questo va in mille pezzi. "Atu visto come go fato"... la madre vista l’ira del figlio esce dalla cucina senza proferire parola, con la paura che il figlio faccia un' ecatombe di piatti. Quando andavo a caccia, avendo due fucili, (il secondo lo avevo acquistato nelle Marche dal Campione Italiano di Tiro al Volo, ora non ricordo il nome) mi portavo appresso il Noè e quando questo "padellava" una lepre, come scusa, mi mostrava il pelo stappato con la fucilata:"Noè andemo a cacia par la carne e no pel pelo" e lui: "Ci Tenente el ga rason», metteva «ci» al posto del «si». Nominava sempre la sua fidanzata Onorina e quando lavorava, come secondo cuoco, cantava una canzone a lei dedicata. Seppi che, dopo il congedo, la sposò.
Nel settembre del 1960 dopo 15 anni venne a trovarmi a casa mia, l’Onorina era morta ed era accompagnato da una discreta signora. Gli chiesi "Questa chi zea Noè" e lui pronto "Quea che me lava i piatti quando no vede so marìo".

Silvestro Agnelli, legato a me da un’amicizia profonda.
A 18 anni fa domanda per entrare nell’Accademia Navale.
Frequenta il Corso ma dopo 90 giorni ne ha ben 47 di consegna. Per Silvestro è inammissibile che se uno ti dice va diritto da quella parte, lui visto a metà strada un muro si ferma, svolta a sinistra o a destra per proseguire poi verso la meta e non va a prendere una capocciata. Avuto un colloquio col comandante spiega le sue considerazioni, ma il comandante gli risponde: «Le azioni giuste o sbagliate non spetta a te contestarle e devi fare ciò che ti dice un superiore anche se un domani dovessero risultare errate». Lui di rimando: "Il punto sta proprio qui... io le vedo già sballate in partenza" e data la sua intelligenza saluta, esce dall’Accademia Navale
ed entra nell’Accademia Militare, settore Genio e Artiglieria. 
Trova un clima differente dove i comandanti hanno idee meno cervellotiche; non sono istruzioni come quelle della marina che insegnava come ci si presenta ad una signora, come si deve offrire un mazzo di rose e via di questo passo e dopo non ha mai vinto una battaglia. Alla fine del corso al commiato, il comandante, nella grande sala, porge a tutti i rituali auguri e saluti, infine dice: "Siete stati tutti bravi e studiosi ma lasciatemi che possa additare un vostro compagno che io reputo il migliore del Corso: "Silvestro Agnelli"». In Marina zero in Genio Artiglieria cento. 

Da S.Tenente è sbattuto a Milano, Verona, Palermo, Rovereto qui come carrista e con divisa mimetica bianca sta per andare in Russia quando, date le sue capacità, inviato a Palermo come comandante di un centro di truppe da inviare sul fronte libico. Sta per salpare, meta Bengasi, altro contrordine, per il suo coraggio, Tenente aggregato ad un Gruppo tedesco alla difesa del suolo siciliano. La nave parte senza Silvestro e nel Mediterraneo un siluro nemico l’affonda e  addio equipaggio. 
Una notte i Ranger Americani effettuano un lancio di paracadutisti, Silvestro imbraccia il mitra, il cannone non serve e via a caccia del nemico, sparatorie, appostamenti, mitragliatrici che cantano, buio pesto, ad un tratto sente una raffica poco distante, si apposta, ode un fruscio di passi, grida: "Alto là!". Dopo un pò da dietro un casolare due Ranger, impauriti, escono con le mani alzate. Il giorno dopo le truppe italiane se la squagliano, forse per ordini dall’Alto ben precisi, ma lui aggregato ai tedeschi combatte con fuoco di batteria. 

Un’autoblinda sta avvicinandosi, Silvestro, giù dalla strada punta il cannone con alzo zero, aspetta che spunti dalla curva e fuoco!. L’autoblinda è semidistrutta ed il suo equipaggio se la squaglia. Gli americani contrattaccano e Silvestro sta per essere accerchiato, intervengono i tedeschi del 15° Reggimento Panzer Granadier e riescono a cambiare la situazione. Troviamo Silvestro, a combattere, dopo l’armistizio con gli Americani, a Monte Lungo contro i compagni tedeschi che lo hanno difeso, pochi mesi prima, il 15° Regg. Panzer Granadier. Il primo giorno della battaglia di Monte Lungo viene inviato in prima linea con la fanteria come ufficiale osservatore di tiro. Gli dicono di andare avanti, dove  troverà la fanteria. Prende un paio di artiglieri e s’incammina. Ad un tratto a circa 100 metri, vede dei tedeschi che stanno apprestando una difesa sul davanti, mentre altri sono sulla sinistra. Pensa: «Ma dov‘è la fanteria italiana se sono in mezzo alle linee tedesche! Sangue freddo» dice ai soldati: «non guardare mai verso i tedeschi, non correre... camminiamo disinvolti verso destra e speriamo nella buona sorte». Riescono ad allontanarsi, i tedeschi avranno visto delle sagome in mezzo al bosco ma li avranno ritenuti propri compagni. Intanto era da un pezzo che pioveva e... aveva dimenticato a casa l’ombrello! Per la pioggia era il meno che gli potesse capitare, erano in un campo minato. 

Andando incontro al campo minato si vedono i cartelli, ma certamente se gli italiani entrano dall’altra parte non trovano il cartello e si accorgono quando il primo uomo salta sulla mina. Ormai è notte e il meglio è rimanere seduti sotto un albero, con la pioggia che per ore ti fa la doccia ed aspettare il mattino per vedere dove si mettono i piedi. Al primo albeggiare il Silvestro si muove, sa che la mina viene posta sul terreno soffice, si scava con più facilità, ed allora cerca di mettere i piedi dove c’è un arbusto, un grappolo di piante basse, sulla roccia e così via; un salto quà, un salto là fino alla fine. Qui trova un americano che con detector sta bonificando
una striscia di terreno larga circa un metro e mezzo per fa passare la truppa. Silvestro sta andando a trovare questa malaugurata fanteria quando: BUM!! L’americano è incappato, seppur con il «cerca mine» in una mina. Corre dove c’è il povero soldato americano, lo spoglia per
poter così mettersi un abito e un cappotto asciutti dopo tutta la pioggia notturna.
Questa è la guerra!

Quattro interessanti personaggi con caratteristiche ognuno di una certa particolarità: la falsa cultura, la laboriosità, la vita spensierata, la saggezza unita al patriottismo.