Giovane militare Gianni e Rodolfo Mitica Vespa: in gara Sempre avanti Birmania Radio Monte Grappa

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Tutto il fronte si muove e noi entriamo in paesi in festa, la gente ci abbraccia, ci bacia, ci offre vino, liquori, così alle sera ho mezza batteria ubriaca.
Il settore del fronte è lungo 35 chilometri e tocca gli abitati di Tollo, Crecchio, Pennapiedimonte, ed il settore della mia batteria: Orsogna e Guardiagrele.
I tedeschi hanno creato numerosi, piccoli capisaldi con reticolati, zone minate, casali fortificati. Altre linee di difesa successive, garantiscono con il loro scaglionamento in profondità una resistenza elastica ed efficace. Niente di permanente, ma piuttosto una struttura campale, con postazioni per armi automatiche e reparti che si possono agilmente spostare da un punto all’altro; notevole, fra i difensori, la presenza di truppe di nazionalità russa e polacca, nonché austriaca. Sono messi lì, questi uomini, in funzione ritardataria; il grosso delle armi pesanti, per esempio le artiglierie di grosso calibro, già da parecchi giorni sono state fatte indietreggiare secondo un piano di ripiegamento generale di tutto il fronte. Ecco perché, nelle direttive impartite al C.I.L. si parla di «inseguimento del nemico in ritirata». Alcuni sondaggi fatti con le pattuglie è messo però in luce che le truppe nemiche, nonostante un certo palese nervosismo, sono ben risolute a difendersi.

Il 6 giugno ci giunge la notizia della caduta di Roma. Senza combattimenti gli alleati vi erano entrati, senza resistenza i tedeschi si erano ritirati. La nostra gioia non fu completa:
a noi, combattenti del 1° Raggruppamento Italiano, era stato promesso l’ingresso a Roma fin dai primi giorni di Monte Lungo; noi, gli alfieri della nuova Italia e della riscossa, pretendevamo l’onore ed il privilegio di toccare per primi il suo sacro suolo; la nostra bandiera doveva sventolare prima di tutte nelle vie e sulle torri della città eterna. 

Pensiero che avevamo accarezzato con fierezza; diritto che sentivamo di possedere e di meritare, che purtroppo ci venne negato. E ci rimase un fondo di amarezza nell’anima quando in vece nostra, prima gli americani, e per questi eravamo disposti, ma poi truppe di tanti colori, e di nazioni diverse, ebbero la gloria di ricevere il saluto del popolo romano. Sapemmo che nello stesso giorno gli alleati avevano sferrato un grande attacco in Normandia che doveva decidere in parte le sorti della guerra.

Ma tornando sul nostro fronte il 7 giugno si ha un’intensa attività di pattuglie, questo parallelamente alle azioni che stanno conducendo le truppe indiane nella zona di Crecchio.
Il mattino dell’8, alle 7,30, gli indiani chiedono e ottengono il concorso del C.I.L. nell’attacco da loro effettuato; scattano i reparti della Nembo conquistando le località di San Romano, Canosa - Sannita, Filetto e Orsogna (qui c’è la mia batteria). Quest’ultimo paese è raggiunto di sera, alle 20. Ma i tedeschi reagiscono con rabbia, specie nel settore della IIª brigata dove c’è il 68° reggimento fanteria Legnano. 

Il IX reparto d’assalto (gli arditi di Boschetti) è sottoposto a un’intensa azione di fuoco: i mortai tedeschi sparano in continuazione da Pennapiedimonte e rendono impossibile qualunque avanzata, già peraltro ritardata dall’esistenza di numerosi campi minati. Nella notte gli italiani compiono un infruttuoso tentativo di aggiramento di Colle Martino che solo all’alba cade in mano di quelli del I° battaglione. Il 9 giugno alle ore 18, due colonne di arditi puntano su Guardiagrele (qui c’è la mia batteria) una dalla zona di Pennapiedimonte, un’altra da Gessarola. La cittadina è difesa da numerosi tedeschi. La mossa degli arditi si va a poco a poco delineando; è come una tagliola che stia per scattare sull’abitato; quattrocento uomini sono pronti ad avanzare per l’attacco finale; ma a mezzanotte un fuoco infernale nemico, appoggiato dall’artiglieria,
blocca gli arditi di fronte a Guardiagrele.

Quella notte mentre dormivo, sotto la tenda, una serie di cannonate shrapnel - (scoppiano all’altezza di 50 metri dal suolo) ci fa sobbalzare, io resisto per un pò, stanco e pieno di sonno, però quando sento un tintinnio, proveniente dalla gavetta appesa sopra la mia testa, e constatato essere una scheggia che l’ha forata, mi alzo, a malavoglia, e vado sotto in una trincea precedentemente costruita dai tedeschi ed in parte allagata per la pioggia caduta in abbondanza il giorno prima. Gli italiani, al mattino, incontrano il terreno sfavorevole che non permette di avanzare, se non con gravi perdite. Solo la 102ª compagnia, che compie una manovra aggirante sul fianco, è favorita e nonostante sia stata subito individuata dal fuoco nemico riesce ugualmente a portarsi sotto l’abitato di Pennapiedimonte. All’alba la 102ª prosegue la marcia: entra cautamente nell’abitato... nessuno... alle 7 del mattino un drappo si alza sulla vecchia torre... È il tricolore; lo hanno messo gli arditi. Nello stesso tempo dall’altro lato della città giungono da Orsogna reparti del 68° fanteria.

Racconta don Bedeschi:
«La città è deserta. Orrida devastazione dappertutto.
Postazioni disordinate, barricate di mobili. Non una porta, non un vetro intatto. Chiese dissacrate. Sul muro una scritta in tedesco: Comunque abbiamo vinto! e una in inglese: Voi tornerete indietro. I cento tedeschi occupanti
Palombaro alle prime luci dell’alba si dileguano risalendo la Maiella, gli altri di Guardiagrele ripiegano verso Chieti... Boschetti è fuori di sé per la rabbia di non aver
preso nessun prigioniero...».
Un’ora dopo, alle 8, anche Piani di Venna è occupata da truppe italiane. Anche qui il nemico ha lasciato tracce desolanti.
Il generale Utili ordina allora a quelli della Nembo
di proseguire l’avanzata in direzione di Villamagna, mentre gli altri devono raggiungere la rotabile Pescara - Popoli e la zona Casalincontrada - Bucchianico.
Evidentemente i tedeschi, esaurita la funzione ritardataria,
si stanno progressivamente ritirando lasciando agli italiani, sbocconcellandoli, i villaggi che cadono ad uno ad uno in mano nostra e alla fine si vede che la stessa Chieti è vicina, a portata di... un’ultimo balzo. Anche se la città è esclusa dal settore di azione del C.I.L. si decide di prenderla lo stesso; una soddisfazione morale ci vuole. Così l’abitato viene liberato da veloci pattuglie di paracadutisti
24 ore prima del tempo previsto per l’arrivo della divisione indiana. Subito dopo l’occupazione della città di Chieti arriva da Utili, con un iroso superiore, il generale
inglese Allfrey. Utili è a Villa Carabba dove ha provvisoriamente sistemato
il suo quartier generale.
Allfrey protesta vivacemente per quello «sconfinamento
». Vuol sapere le ragioni che hanno indotto gli italiani a entrare abusivamente nella zona assegnata alle truppe indiane. Utili lo sta ascoltando pazientemente poi alla fine gli scappa una specie di romanzina :
«Le nostre truppe» dice con voce che tradisce una malcelata
irritazione, «specie quando sono vicine alle proprie abitazioni, non riescono ad attendere i segnali convenuti e seguire la procedura alleata, prudente, ma lenta: devono per forza bruciare le tappe. Non è facile trattenere uomini che non conoscono riposi o cambi in linea, dal desiderio di liberare i propri cari di cui, da oltre otto mesi, ignorano
la sorte: specialmente in quanto sono a conoscenza dei metodi di lotta sleali del nemico, delle distruzioni indiscriminate, delle deportazioni e vessazioni di ogni genere. Infine, fra i combattenti della divisione Nembo, il dieci per cento appartiene alle provincie abruzzesi e marchigiane; è per loro motivo di orgoglio essere entrati per primi nella città di Chieti. Gli inglesi avrebbero fatto ugualmente se si fosse trattato della loro città».
A questo punto Allfrey si rabbonisce, borbotta qualche formale ringraziamento e se ne va senza aver impartito altre «precise» disposizioni per l’avanzata.
Su tutto il fronte si moltiplicano le scene di resa dei tedeschi
e si vede il generale americano Clark, che con aria severa, avvalendosi di un interprete, interroga un gruppo
di militari tedeschi. Questi ultimi sono male in arnese; hanno la faccia cotta dalle esplosioni, nera di polvere e di sporcizia, la logora divisa informe per le lunghe notti passate
all’addiaccio, la bustina che giace malinconica sulle orecchie. È l’aspetto di soldati distrutti, non solo dalla fatica,
ma anche nell’animo; è il ritratto dei vinti, quei vinti che avevano cominciato ad esser tali nell’attimo in cui avevano accettato di calcarsi l’elmetto sul capo... Adesso i prigionieri tedeschi sono migliaia: giacciono smarriti e melanconici, a pezzi come le loro armi, sventrate lungo la Casilina, sulle rive di Anzio, sul fronte di Cassino, sulle strade per Roma, negli Appennini e nelle Marche.
E l’aspetto dei nostri qual’è?
Quello descritto da Monelli:... «Li ho veduti sul fronte marchigiano fare il loro dovere, devoti, coscienziosi, pazienti come sempre, nonostante sapessero di essere un’infima minoranza di quello che fu l’esercito italiano, destinati per un capriccio della sorte a restare in prima linea mentre altri dello loro classi erano a casa o in sicuri servizi di retrovia; poveri accanto a combattenti ricchi, scalcinati accanto ad alleati lucidi di vesti nuove e scarpe fiammanti, condannati a marciare a piedi e a far pattuglie ed assalti davvicino per sgomberare il cammino
a divisioni autotrasportate, a cui potenti carri armati aprivano la strada e potentissime artiglierie spianavano ogni ostacolo»

Tra i tanti atti di valore in queste battaglie il 185° Nembo è uno dei reparti che non possono essere dimenticati. Le decorazioni, le medaglie d’oro, non si contano. Ve ne sono tre, per esempio, di giovani paracadutisti dietro le file nemiche. Tutte e tre alla memoria.

Una è quella di Salvatore MICALE, un sergente maggiore che dopo esser stato sorpreso da una pattuglia tedesca cerca di far scudo al proprio ufficiale; nonostante il generoso slancio l’ufficiale è ferito ugualmente, allora il Micale lo sostituisce alla testa dei suoi uomini ma dopo serrato combattimento viene fatto prigioniero, poi è barbaramente trucidato.

L’altra è la medaglia d’oro di Italo CASTALDI, un piemontese, tenente paracadutista: il Castaldi, sorpreso dopo il lancio, è attaccato da forze soverchianti. Gravemente ferito continua a combattere, finché, rimasto senza munizioni e allo stremo delle forze, è fatto prigioniero: subito dopo la cattura è fucilato sul posto.

Altra bella figura è quella di Bruno BUSSOLIN, padovano, sottotenente; il Bussolin si offre volontario per una rischiosa azione di pattuglia assaltando una munita posizione tedesca; ferito continua la lotta fino a che una raffica in pieno petto non lo abbatte in un lago di sangue.