Tutto il fronte si muove
e noi entriamo in paesi in festa, la gente ci
abbraccia, ci bacia, ci offre vino, liquori, così alle sera
ho mezza batteria ubriaca.
Il settore del fronte è lungo 35 chilometri e tocca gli
abitati di Tollo, Crecchio, Pennapiedimonte, ed il settore della mia
batteria:
Orsogna e Guardiagrele.
I tedeschi hanno creato numerosi, piccoli capisaldi con reticolati,
zone minate, casali fortificati. Altre linee di difesa successive,
garantiscono con il loro scaglionamento in
profondità una resistenza elastica ed efficace. Niente di
permanente, ma piuttosto una struttura campale, con postazioni per armi
automatiche e reparti che si possono agilmente spostare da un punto
all’altro; notevole, fra i difensori, la presenza di truppe
di nazionalità russa e polacca, nonché austriaca.
Sono messi lì, questi uomini, in funzione ritardataria; il
grosso delle armi pesanti, per esempio le artiglierie di grosso
calibro, già da parecchi giorni sono state fatte
indietreggiare secondo un piano di ripiegamento generale di tutto il
fronte. Ecco perché, nelle direttive impartite al C.I.L. si
parla di «inseguimento del nemico in ritirata».
Alcuni sondaggi fatti con le pattuglie è messo
però in luce che le truppe nemiche, nonostante un certo
palese nervosismo, sono ben risolute a difendersi.
Il 6 giugno ci giunge la
notizia della caduta di Roma. Senza
combattimenti gli alleati vi erano entrati, senza resistenza i tedeschi
si erano ritirati. La nostra gioia non fu completa:
a noi, combattenti del 1° Raggruppamento Italiano, era stato
promesso l’ingresso a Roma fin dai primi giorni di Monte
Lungo; noi, gli alfieri della nuova Italia e della riscossa,
pretendevamo l’onore ed il privilegio di toccare per primi il
suo sacro suolo; la nostra bandiera doveva sventolare prima di tutte
nelle vie e sulle torri della città eterna.
Pensiero
che
avevamo accarezzato con fierezza; diritto che sentivamo di possedere e
di meritare, che purtroppo ci venne negato. E ci rimase un
fondo di amarezza nell’anima
quando in vece nostra, prima gli americani, e per questi eravamo
disposti, ma poi truppe di tanti colori, e di nazioni diverse, ebbero
la gloria di ricevere il saluto del popolo romano. Sapemmo che nello
stesso giorno gli alleati avevano sferrato un grande attacco in
Normandia che doveva decidere in parte le sorti della guerra.
Ma tornando sul nostro fronte il 7 giugno si ha un’intensa
attività di pattuglie, questo parallelamente alle azioni che
stanno conducendo le truppe indiane nella zona di Crecchio.
Il mattino dell’8, alle 7,30, gli indiani chiedono e
ottengono il concorso del C.I.L. nell’attacco da loro
effettuato; scattano i reparti della Nembo conquistando le
località di San Romano, Canosa - Sannita, Filetto e Orsogna
(qui
c’è la mia batteria). Quest’ultimo paese
è raggiunto di sera, alle 20. Ma i tedeschi reagiscono con
rabbia, specie nel settore della IIª brigata dove
c’è il 68° reggimento fanteria
Legnano.
Il
IX reparto d’assalto (gli arditi di Boschetti) è
sottoposto a un’intensa azione di fuoco: i
mortai tedeschi sparano in continuazione da Pennapiedimonte e rendono
impossibile qualunque avanzata, già peraltro ritardata
dall’esistenza di numerosi campi minati. Nella notte gli
italiani compiono un infruttuoso tentativo di aggiramento di Colle
Martino che solo all’alba cade in mano di quelli del
I° battaglione. Il 9 giugno alle ore 18, due colonne di arditi
puntano su Guardiagrele (qui c’è la mia batteria)
una dalla zona di Pennapiedimonte, un’altra da Gessarola. La
cittadina è difesa da numerosi tedeschi. La mossa degli
arditi si va a poco a poco delineando; è come una tagliola
che stia per scattare sull’abitato; quattrocento uomini sono
pronti ad avanzare per l’attacco finale; ma a mezzanotte un
fuoco infernale nemico, appoggiato dall’artiglieria,
blocca gli arditi di fronte a Guardiagrele.
Quella notte mentre dormivo, sotto la
tenda, una serie di cannonate
shrapnel - (scoppiano all’altezza di 50 metri dal suolo) ci
fa sobbalzare, io resisto per un pò, stanco e pieno di
sonno, però quando sento un tintinnio, proveniente dalla
gavetta appesa sopra la mia testa, e constatato essere una
scheggia che l’ha forata, mi alzo, a malavoglia, e vado sotto
in una trincea precedentemente costruita dai tedeschi ed in parte
allagata per la pioggia caduta in abbondanza il giorno prima. Gli
italiani, al mattino, incontrano il terreno sfavorevole che non
permette di avanzare, se non con gravi
perdite. Solo la 102ª compagnia, che compie una manovra
aggirante sul fianco, è favorita e nonostante sia stata
subito individuata dal fuoco nemico riesce ugualmente a portarsi sotto
l’abitato di Pennapiedimonte. All’alba la
102ª prosegue la marcia: entra cautamente
nell’abitato... nessuno... alle 7 del mattino un drappo si
alza sulla vecchia torre... È il tricolore; lo
hanno messo
gli arditi. Nello stesso tempo dall’altro lato della
città giungono da Orsogna reparti del 68° fanteria.
Racconta don Bedeschi:
«La
città è deserta. Orrida
devastazione dappertutto.
Postazioni disordinate,
barricate di mobili. Non una porta, non un
vetro intatto. Chiese dissacrate. Sul muro una scritta in tedesco:
Comunque abbiamo vinto! e una in inglese: Voi tornerete indietro. I
cento tedeschi occupanti
Palombaro alle prime
luci dell’alba si dileguano risalendo la
Maiella, gli altri di Guardiagrele ripiegano verso Chieti... Boschetti
è fuori di sé per la rabbia di non aver
preso nessun
prigioniero...».
Un’ora dopo,
alle 8, anche Piani di Venna è
occupata da truppe italiane. Anche qui il nemico ha lasciato tracce
desolanti.
Il generale Utili ordina
allora a quelli della Nembo
di proseguire
l’avanzata in direzione di Villamagna, mentre
gli altri devono raggiungere la rotabile Pescara - Popoli e la zona
Casalincontrada - Bucchianico.
Evidentemente i
tedeschi, esaurita la funzione ritardataria,
si stanno
progressivamente ritirando lasciando agli italiani,
sbocconcellandoli, i villaggi che cadono ad uno ad uno in mano nostra e
alla fine si vede che la stessa Chieti è vicina, a portata
di... un’ultimo balzo. Anche se la città
è esclusa dal settore di azione del C.I.L. si decide di
prenderla lo stesso; una soddisfazione morale ci vuole. Così
l’abitato viene liberato da veloci pattuglie di paracadutisti
24 ore prima del tempo
previsto per l’arrivo della divisione
indiana. Subito dopo l’occupazione della città di
Chieti arriva da Utili, con un iroso superiore, il generale
inglese Allfrey. Utili
è a Villa Carabba dove ha
provvisoriamente sistemato
il suo quartier generale.
Allfrey protesta
vivacemente per quello «sconfinamento
». Vuol sapere
le ragioni che hanno indotto gli italiani a
entrare abusivamente nella zona assegnata alle truppe indiane. Utili lo
sta ascoltando pazientemente poi alla fine gli scappa una specie di
romanzina :
«Le nostre
truppe» dice con voce che tradisce una
malcelata
irritazione,
«specie quando sono vicine alle proprie
abitazioni, non riescono ad attendere i segnali convenuti e seguire la
procedura alleata, prudente, ma lenta: devono per forza bruciare le
tappe. Non è facile trattenere uomini che non conoscono
riposi o cambi in linea, dal desiderio di liberare i propri cari di
cui, da oltre otto mesi, ignorano
la sorte: specialmente
in quanto sono a conoscenza dei metodi di lotta
sleali del nemico, delle distruzioni indiscriminate, delle deportazioni
e vessazioni di ogni genere. Infine, fra i combattenti della divisione
Nembo, il dieci per cento appartiene alle provincie abruzzesi e
marchigiane; è per loro motivo di orgoglio essere entrati
per primi nella città di Chieti. Gli inglesi avrebbero fatto
ugualmente se si fosse trattato della loro città».
A questo punto Allfrey
si rabbonisce, borbotta qualche formale
ringraziamento e se ne va senza aver impartito altre
«precise» disposizioni per l’avanzata.
Su tutto il fronte si
moltiplicano le scene di resa dei tedeschi
e si vede il generale
americano Clark, che con aria severa, avvalendosi
di un interprete, interroga un gruppo
di militari tedeschi.
Questi ultimi sono male in arnese; hanno la
faccia cotta dalle esplosioni, nera di polvere e di sporcizia, la
logora divisa informe per le lunghe notti passate
all’addiaccio,
la bustina che giace malinconica sulle
orecchie. È l’aspetto di soldati distrutti, non
solo dalla fatica,
ma anche
nell’animo; è il ritratto dei vinti, quei
vinti che avevano cominciato ad esser tali nell’attimo in cui
avevano accettato di calcarsi l’elmetto sul capo... Adesso i
prigionieri tedeschi sono migliaia: giacciono smarriti e melanconici, a
pezzi come le loro armi, sventrate lungo la Casilina, sulle rive di
Anzio, sul fronte di Cassino, sulle strade per Roma, negli Appennini e
nelle Marche.
E l’aspetto
dei nostri qual’è?
Quello descritto da
Monelli:... «Li ho veduti sul fronte
marchigiano fare il loro dovere, devoti, coscienziosi, pazienti come
sempre, nonostante sapessero di essere un’infima minoranza di
quello che fu l’esercito italiano, destinati per un capriccio
della sorte a restare in prima linea mentre altri dello loro classi
erano a casa o in sicuri servizi di retrovia; poveri accanto a
combattenti ricchi, scalcinati accanto ad alleati lucidi di vesti nuove
e scarpe fiammanti, condannati a marciare a piedi e a far pattuglie ed
assalti davvicino per sgomberare il cammino
a divisioni
autotrasportate, a cui potenti carri armati aprivano la
strada e potentissime artiglierie spianavano ogni ostacolo»
Tra
i tanti atti di valore in queste battaglie il 185° Nembo
è uno dei reparti che non possono essere dimenticati. Le
decorazioni, le medaglie d’oro, non si contano. Ve ne sono
tre, per esempio, di giovani paracadutisti dietro le file nemiche.
Tutte e tre alla memoria.
Una è quella
di Salvatore MICALE, un sergente maggiore che
dopo esser stato sorpreso da una pattuglia tedesca cerca di far scudo
al proprio ufficiale; nonostante il generoso slancio
l’ufficiale è ferito ugualmente, allora il Micale
lo sostituisce alla testa dei suoi uomini ma dopo serrato combattimento
viene fatto prigioniero, poi è barbaramente trucidato.
L’altra
è la medaglia d’oro di Italo
CASTALDI, un piemontese, tenente paracadutista: il
Castaldi, sorpreso dopo il lancio,
è attaccato da forze soverchianti. Gravemente ferito
continua a combattere, finché, rimasto senza munizioni e
allo stremo delle forze, è fatto prigioniero: subito dopo
la cattura è fucilato sul posto.
Altra bella figura
è quella di Bruno BUSSOLIN, padovano,
sottotenente; il Bussolin si offre volontario per una rischiosa azione
di pattuglia assaltando una munita posizione tedesca; ferito continua
la lotta fino a che una raffica in pieno petto
non lo abbatte in un lago di sangue.