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Sei in : La guerra _ La battaglia di Filottrano e Cingoli _  Pagina 2 di 3


Viene comandato per la presa di Cingoli il IX reparto d’assalto di Boschetti assieme ad una batteria del II Gruppo. Il Boschetti conoscendo la bravura del capitano Salsilli, che con pochi colpi ti centra l’obiettivo, vuole la 6ª batteria (la mia, la «Fagotti») per averla sperimentata altre volte.

Parto l’11 mattina verso le 6 con il primo pezzo, trattorista Sembenini Bruno, veronese - e andiamo per una strada di montagna stretta e piena di curve. Ad un tratto un soldato mi viene incontro, è un ricercatore di mine, mi avverte che più avanti, a circa 50 metri, c’è una mina dopo la curva. Scendo dal trattore e assieme al Sembenini andiamo ad ispezionare. Il ricercatore aveva reso scoperta, la parte superiore della mina.
Sembenini impaurito: «Tenente io non vado più avanti, facciano scoppiare la mina e poi passo». Dico: «Bruno non c’è altra via da transitare e se noi aspettiamo che venga qualcuno a far brillare la mina passa un paio d’ore, dobbiamo telefonare al comando e questo invierà un addetto per questo incarico. Questo ricercatore ha solo il "trova mine" e non ha tutto il necessario per farla scoppiare.

Inoltre quando è scoppiata ti fa un cratere e tu con il trattore non ci passi più. Dopo bisogna riempire il buco ed io alle 10 devo essere con la batteria pronta sulla postazione che è a circa tre chilometri da qui; dopo questo cannone ce ne sono altri tre da far passare; vuoi che gli arditi vadano contro i tedeschi senza una preparazione d’artiglieria?». 

Deciso, con voce alterata: «Se ti rifiuti ti denuncio al tribunale di guerra per diserzione al combattimento». Il povero Sembenini tutto tremante: «Allora lei mi faccia segnalazione per dove... devo mettere le ruote». E così ad un metro davanti al trattore faccio le segnalazioni in modo che la mina resti in mezzo alle quattro ruote e poi postando tutto il trattore a sinistra, traino il cannone al sicuro. Mando il motociclista Barigozzi ad avvertire il capitano del pericolo incontrato. Alle 9,45 la batteria è pronta e possiamo riprendere la musica che avevamo interrotta con la presa di Filottrano.
Il giorno dopo il Boschetti ordina al tenente Gagliardi e all’ardito Arru, entrambi sardi, di mettersi addosso panni borghesi e conciati come contadini, male in arnese, entrano in Cingoli per vedere la disposizione delle difese tedesche.

Al ritorno il Gagliardi riferisce al colonnello ed al mio capitano la situazione. Il giorno dopo il colonnello Boschetti ordina alla mia batteria di sparare una serie di colpi su delle alture alla periferia di Cingoli. Ad un razzo verde lanciato dagli arditi, che nel frattempo del fuoco dell’artiglieria si erano portati vicino alle postazioni nemiche... grida... «Cessate il fuoco».
Gli arditi balzano in piedi e di corsa - gridando sparando coi mitra e lanciando bombe a mano irrompono nelle trinceenemiche. Si hanno, morti, feriti e prigionieri.
Alle ore 9 del 13 Luglio 1944  Cingoli è liberata, e noi ci spostiamo in altro settore del fronte perché la nostra tattica è questa: andare in aiuto dove c’è bisogno dell’artigliere, e poi via.

I tedeschi ora sono attestati sulla riva del Musone.
Due pattuglie partono in avanscoperta; la prima è guidata dal tenente Cominotto che riesce a guadare il fiume e portarsi a Valcareccio; nonostante la posizione sia buona, i tedeschi però, lo snidano da lì e lo costringono a ripiegare a sud, invece, alcuni sardi fra i quali vi è Simula, agiscono su Villastrada. In testa vi è il tenente Pascarelli.
L'ordine è di non guadare il Musone, ma nessuno vi fa caso; così, arrivati dall’altra sponda hanno modo di tendere un agguato a una pattuglia nemica; il combattimento si accende furioso; tra i sardi si notano subito Arru e Masuri che combattono all’arma bianca; alcuni tedeschi, colti di sorpresa, sono subito uccisi; altri disarmati; uno che ha alzato le mani in segno di resa cerca di svignarsela, è Arru a balzargli addosso con il pugnale e a finirlo.
Fra gli italiani si ha un morto: SIMULA, il quale si era messo a sparare all’impazzata, allo scoperto, allo scopo di deviare l’attenzione della pattuglia e di permettere l’agguato e muore falciato da una raffica avversaria. 

Si combatte ancora strenuamente per la presa del fiume, il combattimento si spezza in lotte accanite di piccoli gruppi fra le insidie dei canneti, delle siepi, delle coltivazioni, si progredisce molto lentamente e con troppe perdite.
Il guado è battuto da mortai e cannoni e tra le fitte salve si vedono piccoli gruppi d’italiani, che si distinguono dalla divisa cachi, avventurarsi correndo, sostando ansanti sull’altra sponda, sparire tra il verde. La lotta era ancora incerta e si deve sfondare; allora si lancia il battaglione degli arditi di Boschetti, freschissimo, saldo, gioioso, sicuro, passa come un’ala oltre il fiume, irrompe come una molla compressa, spezza, travolge le resistenze ancora ostinate, ma vacillanti per lo sforzo accanito di una intera giornata.  Su, su per i dossi, nell’aria che imbruniva, incalzano il gregge dei fuggenti, come una muta latrante, con le gole dei mitra... ed alle 10 di sera sul paesetto di Rustico sventola il tricolore.

Il sottotenente TOTI nei pressi dell’abitato di Rustico, nel furore della battaglia, viene colpito e non vi è speranza di salvarlo. Toti, una faccia aperta, un viso giovane che guarda negli occhi il tenente medico che sta curandolo e gli dice: «Dottore quando sarò spirato, ti prego, non abbassarmi le palpebre... tendimi col viso in alto e lasciami guardare a occhi aperti... voglio guardare, fino a che la terra non mi avrà coperto e finché mi sarà possibile... il bel cielo d’Italia...». Ecco come muore il soldato italiano.

Gli arditi non hanno un plotone portaferiti, una ambulanza, sono pochi e tutti devono combattere. Durante il combattimento nessuno può lasciare il suo posto, non pochi muoiono per dissanguamento, per mancanza di cure, mentre i loro lamenti, inascoltati, si perdono nel fragore degli scoppi. Il colonnello Boschetti di fronte a quei poveretti, che gemono inchiodati dalle ferite, si sente quasi colpevole... Va da alcuni contadini e prega che con un carro cerchino di recuperare i feriti, dirigendosi dove odono un lamento o richiamo.

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