Viene comandato per la
presa di Cingoli il IX reparto
d’assalto di Boschetti assieme ad una batteria del II Gruppo.
Il Boschetti conoscendo la bravura del capitano Salsilli, che con pochi
colpi ti centra l’obiettivo, vuole la 6ª batteria
(la mia, la «Fagotti») per averla sperimentata
altre volte.
Parto l’11 mattina verso le 6
con il primo
pezzo, trattorista Sembenini Bruno, veronese - e andiamo per una strada
di montagna stretta e piena di curve. Ad un tratto un soldato mi viene
incontro, è un ricercatore di mine, mi avverte che
più avanti, a circa 50 metri, c’è una
mina dopo la curva. Scendo dal trattore e assieme al Sembenini andiamo
ad ispezionare. Il ricercatore aveva reso scoperta, la parte superiore
della mina.
Sembenini impaurito:
«Tenente io non vado
più avanti, facciano scoppiare la mina e poi
passo». Dico: «Bruno non
c’è
altra via da transitare e se noi aspettiamo che venga qualcuno a far
brillare la mina passa un paio d’ore, dobbiamo telefonare al
comando e questo invierà un addetto per questo incarico.
Questo ricercatore ha solo il "trova mine" e non ha tutto il necessario
per farla scoppiare.
Inoltre quando è scoppiata ti fa un cratere e tu con il trattore non ci passi più. Dopo bisogna riempire il buco ed io alle 10 devo essere con la batteria pronta sulla postazione che è a circa tre chilometri da qui; dopo questo cannone ce ne sono altri tre da far passare; vuoi che gli arditi vadano contro i tedeschi senza una preparazione d’artiglieria?».
Deciso,
con voce alterata: «Se ti rifiuti ti denuncio al
tribunale di guerra per diserzione al combattimento».
Il povero Sembenini tutto tremante: «Allora lei
mi faccia segnalazione per dove... devo mettere le ruote». E
così ad un metro davanti al trattore faccio le segnalazioni
in modo che la mina resti in mezzo alle quattro ruote e poi postando
tutto il trattore a sinistra, traino il cannone al sicuro. Mando il
motociclista Barigozzi ad avvertire il capitano del pericolo
incontrato. Alle 9,45 la batteria è pronta e possiamo
riprendere la musica che avevamo interrotta con la presa di Filottrano.
Il giorno dopo il Boschetti ordina al tenente Gagliardi e
all’ardito Arru, entrambi sardi, di mettersi addosso panni
borghesi e conciati come contadini, male in arnese, entrano in Cingoli
per vedere la disposizione delle difese tedesche.
Al
ritorno il Gagliardi riferisce al colonnello ed al mio capitano la
situazione. Il giorno dopo il colonnello Boschetti ordina
alla mia batteria di sparare una serie di colpi su delle alture
alla periferia di Cingoli. Ad un razzo verde lanciato dagli arditi,
che nel frattempo del fuoco dell’artiglieria si erano portati
vicino alle postazioni nemiche... grida...
«Cessate il fuoco».
Gli arditi balzano in piedi e di corsa - gridando sparando coi mitra e
lanciando bombe a mano irrompono nelle trinceenemiche. Si hanno, morti,
feriti e prigionieri.
Alle ore 9 del 13 Luglio
1944 Cingoli è liberata, e noi ci
spostiamo in altro settore del fronte perché la nostra
tattica è questa: andare in aiuto dove
c’è bisogno dell’artigliere, e poi via.
I tedeschi ora sono attestati sulla riva del Musone.
Due pattuglie partono in avanscoperta; la prima è guidata
dal tenente Cominotto che riesce a guadare il fiume e portarsi a
Valcareccio; nonostante la posizione sia buona, i tedeschi
però, lo snidano da lì e lo costringono a
ripiegare a sud, invece, alcuni sardi fra i quali vi è
Simula,
agiscono su Villastrada. In testa vi è il tenente Pascarelli.
L'ordine è di non guadare il Musone, ma nessuno vi
fa caso; così, arrivati dall’altra sponda hanno
modo di tendere un agguato a una pattuglia nemica; il combattimento si
accende furioso;
tra i sardi si notano subito Arru e Masuri che combattono
all’arma bianca; alcuni tedeschi, colti di sorpresa, sono
subito uccisi; altri disarmati; uno che ha alzato le mani in segno di
resa cerca di svignarsela, è Arru a balzargli addosso con il
pugnale e a finirlo.
Fra gli italiani si ha un
morto: SIMULA, il quale si era messo a
sparare all’impazzata, allo scoperto, allo scopo di deviare
l’attenzione della pattuglia e di permettere
l’agguato e muore falciato da una raffica
avversaria.
Si
combatte ancora strenuamente per la presa del fiume, il combattimento
si spezza in lotte accanite di piccoli gruppi fra le insidie dei
canneti, delle siepi, delle coltivazioni, si progredisce molto
lentamente e con troppe perdite.
Il guado è battuto da mortai e cannoni e tra le fitte salve
si vedono piccoli gruppi d’italiani, che si distinguono dalla
divisa cachi, avventurarsi correndo, sostando ansanti
sull’altra sponda, sparire tra il verde. La lotta era ancora
incerta e si deve sfondare; allora si lancia il battaglione degli
arditi di Boschetti, freschissimo, saldo, gioioso, sicuro, passa come
un’ala oltre il fiume, irrompe come una molla
compressa, spezza, travolge le resistenze ancora ostinate, ma
vacillanti per lo sforzo accanito di una intera giornata. Su, su per
i dossi, nell’aria che imbruniva,
incalzano il gregge dei fuggenti, come una muta latrante, con le gole
dei mitra... ed alle 10 di sera sul paesetto di Rustico sventola il
tricolore.
Il sottotenente TOTI nei pressi dell’abitato di Rustico, nel
furore della battaglia, viene colpito e non vi è speranza di
salvarlo. Toti, una faccia aperta, un viso giovane che guarda negli
occhi il tenente medico che sta curandolo e gli dice:
«Dottore quando sarò spirato, ti prego, non
abbassarmi le palpebre... tendimi col viso in alto e lasciami guardare
a occhi
aperti... voglio guardare, fino a che la terra non mi avrà
coperto e finché mi sarà possibile... il bel
cielo d’Italia...». Ecco come muore il soldato
italiano.
Gli arditi non hanno un plotone portaferiti, una ambulanza, sono pochi e tutti devono combattere. Durante il combattimento nessuno può lasciare il suo posto, non pochi muoiono per dissanguamento, per mancanza di cure, mentre i loro lamenti, inascoltati, si perdono nel fragore degli scoppi. Il colonnello Boschetti di fronte a quei poveretti, che gemono inchiodati dalle ferite, si sente quasi colpevole... Va da alcuni contadini e prega che con un carro cerchino di recuperare i feriti, dirigendosi dove odono un lamento o richiamo.
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