Giovane militare Gianni e Rodolfo Mitica Vespa: in gara Sempre avanti Birmania Radio Monte Grappa

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Eravamo felici, giovani, pieni di allegria senza preoccupazioni trascorrendo una vita spensierata ma purtroppo c’era il rovescio della medaglia: il dolore ed il pianto di quelle madri che avevano perso il loro amato figlio. 

Tra i tanti annunci della morte di un soldato alla famiglia riporto uno scritto del caro don Giovanni Bonomi.
"Una delle più tristi incombenze che ho avuto, dopo la cessazione delle ostilità, fu di annunciare alle famiglie dei caduti la morte dei loro congiunti. Missione più delicata, più ingrata di questa credo che non ci sia. Nessuna parola, nessun gesto, nessuna promessa vale a confortare, tranquillizzare, lenire il dolore di madri, di spose, di figli. I quali, dopo mesi e mesi di attesa, apprendono la ferale notizia. Il tragico annuncio spezzava l’ultima speranza, stroncava l’ultimo filo a cui tenacemente e disperatamente s’erano afferrati. 

Prima di affacciarmi alla porta pregavo in cuor mio che Iddio mi suggerisse le parole adatte, mi desse i modi migliori, mi preparasse l’occasione più opportuna. Fermavo la macchina con cautela lontano dalla casa, evitavo di suscitare curiosità in paese, bussavo alla porta con esitazione, entravo in casa tremando, parlavo balbettando, uscivo con il cuore infranto e colmo d’angoscia. E mi allontanavo, quasi correndo, desideroso di nascondermi, di scomparire: sembrava mi inseguissero i pianti, le grida, la disperazione, il lutto, che lasciavo dietro di me. E fuggivo, fuggivo con la mia macchina quasi avessi commesso un delitto, quasi fossi io il colpevole di quelle scene così desolate, quasi mia fosse la responsabilità di tante lacrime. E così ogni giorno, per più settimane, da una città all’altra. Da un paese all’altro, da una casa all’altra. Mio Dio, che giorni, che momenti, che tragedie! Non scorderò mai il giorno in cui, suonando ad una villa, la madre di Rudi apparve alla finestra sorridente e, vedendo soldati, chiamò il marito e ci si precipitò incontro, credendo di abbracciare il figlio che attendeva da un momento all’altro. Per una di quelle leggerezze tanto frequenti quanto colpevoli e imperdonabili, aveva avuto notizie da un amico che il figliolo era stato visto qualche giorno prima, che si trovava poco lontano e stava per ritornare. 

E la madre, la povera madre, s’era affannata a preparargli i vestiti, ad accomodargli la camera, a sistemare la casa. «Dov’è mio figlio»? mi chiese precipitosamente. Gli occhi scintillavano di gioia, il volto tutto sorrideva. Io tentennai. «Non tema mi faccia male la sorpresa, so già che deve ritornare, sono preparata», mi disse nervosa e, lasciando me, corse alla macchina, quasi per abbreviare la distanza, per accelerare l’abbraccio. I soldati che l’accompagnavano rimasero muti, incerti, impietriti. Ritornò da me, che intanto avevo accennato qualcosa al marito. Mi guardò, intuì, lanciò un grido e svenne. «Possibile, delirava, possibile? Lei mente, lei mi vuol torturare... Mi dia mio figlio, mio figlio ». Accorse gente. Tutti piangevano. Piangevano anche i miei soldati, quei soldati che un anno prima avevano raccolto sul campo l’amico, e l’avevano, con delicatezza di madre, composto e messo sottoterra. In un’altra casa fui accolto dall’unica sorella. Mi guardò con sospetto. «Desidero parlare con vostro padre» dissi. «È per mio fratello?», «Si». Corse attraverso i campi e chiamando: «Papà, Papà, un ufficiale porta buone notizie del nostro Francesco». 

L’avrei rincorsa, fermata, le avrei tappato la bocca. «Non buone notizie - borbottavo dentro di me - non buone notizie»!. E il padre venne correndo e dietro di lui la madre ansante, trafelata. Non mi diedero tempo di parlare, mi prevennero con una tempesta di domande: «Dove l’ha visto? Come sta? Ha sofferto? Le ha dato qualche lettera? Si accomodi, ci racconti tutto!». E si affaccendavano per darmi una sedia, per accomodare la casa, per offrirmi qualcosa. «Si, l’ho visto, incominciai io, balbettando, l’ho visto parecchi mesi fa... Stava bene allora...». «Come allora?». gridò la madre piantandomi in faccia due occhi fissi, quasi isterici, «Come allora?», ripeteva. «Parli chiaro, chi e Lei?»... Io mi imbrogliavo, la lingua non voleva muoversi, sembrava paralizzata. «Oh Dio!» gridò la sorella che aveva intuito. Successe una scena straziante che ancora oggi mi piange il cuore a rievocarla. Altrove non fui creduto. Nella comunicazione era errato l’anno della nascita: invece del 1922 c’era 1921. «Non è nostro figlio!». Rispose secco il padre, e fece l’atto di andarsene. Allibii. Un errore simile è imperdonabile ed io non me l’aspettavo e non v’ero preparato. Eppure... l’incertezza mi dilaniava. Immaginate voi che situazione! 

Portare la notizia di morte e sbagliare casa!... Eppure... Ripresi fiato e cercai di parlare con tranquillità quasi fosse cosa che non riguardasse la famiglia. I connotati erano precisi, inconfondibili e finalmente dovettero persuadersi. In uno dei paesi delle prealpi ebbi un’accoglienza strana. Il padre, un robusto contadino, ascoltò tutto appoggiato al tavolo, senza batter palpebra, senza parlare, poi scoppiò in escandescenze tali da farmi sussultare ed invece di piangere, come facevano tutti gli altri, si diede ad imprecare scagliandosi contro la guerra, i tedeschi, gli inglesi, i fascisti, i repubblicani, i badogliani, ecc. Picchiava pugni tremendi sulla tavola, camminava concitato su e giù per la stanza, alzava le mani; scuoteva la testa e tornava a ripetere imprecazioni e maledizioni. Io lo tenevo d’occhio e mentre consolavo la madre, non perdevo di vista quell’omaccione cui sembrava dato di volta il cervello. Il mio autista mi faceva cenno di tagliare la corda. 

Rimasi, fino a che lo vidi più calmo, fino a che uno scroscio di pianto mitigò e raddolcì quel disperato dolore. Nelle più parte delle famiglie la notizia venne accolta con forme più pacate, con rassegnazione più pronta, con pianti più composti. Ricordo che una madre, una vecchietta che aveva quell’unico figlio, cadde a sedere sulla sedia, rimase un poco con la faccia tra le mani, pianse assai, poi si asciugò lentamente gli occhi col lembo del grembiule e calma mi chiese: «L’ha assistito lei mio figlio? Ha sofferto molto? Ha chiamato la sua mamma?». Mi buttò le braccia al collo, mi baciò in fronte lasciando cadere sulla mia divisa un torrente di lacrime. 
Così adempivo la mia dolorosa e triste missione. 

Uscendo da quelle case di lutto e di pianto col cuore gonfio, guardavo con occhio attonito lo stridente contrasto delle strade zeppe di gente frenetica e delirante."