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Lungo Sulla statale n. 6, la Casilina, di fianco alla ferrovia Napoli Roma, vi è un’altura oblunga che sbarra la direzione a Mignano; è una dorsale isolata a tre gobbe, orientata nel senso dei meridiani, ha il vago aspetto di un enorme cetaceo in emersione. Uscendo in faccia ad esso, dal profondo della stretta di Mignano, la via Casilina e la ferrovia l’abbracciano dai due lati.
È una spina che s’innesta con la punta nella stretta, come un tappo nel collo della bottiglia: un dosso allungato, scoperto e roccioso, spezzato in una serie di ondulazioni d’altezza di 343 metri.
[Vedi immagine da satellite - link esterno Google]

A vederlo così basso, spoglio, brullo, Monte Lungo, (questo il suo nome) lo si direbbe un monte carsico, un panorama della guerra 15/18. I tedeschi occupano i dossi più elevati di quella dorsale, mentre le pendici sud-orientali sono presidiate da truppe statunitensi del 141° reggimento fanteria.
La storia del primo intervento italiano in linea a fianco degli alleati comincia dunque in questa cornice. Alla fine di novembre, infatti, gli alleati, dopo un esame in piena regola hanno deciso di impiegare gli italiani, di dare loro il contentino che chiedono. Questa risoluzione è già stata presa fin dal giorno 29 del mese con un ordine del giorno stesso che dice testualmente: "Si prenderanno provvedimenti per attaccare, conquistare e mantenere Monte Lungo".

Sono in batteria, mattino 8 Dicembre 1943, giorno fatidico della battaglia di Monte Lungo.
Il 1° Raggruppamento Motorizzato Italiano facente parte della 5ª Armata Americana, agli ordini del generale Clark, ha il compito di conquistare Monte Lungo. Il monte era avvolto da una fitta nebbia, visibilità di circa 15 metri, i fanti erano immersi in un fango attaccaticcio, malvestiti, con armamento ridotto ed erano stati tutta la notte sotto la pioggia.
Tutta l’artiglieria (io comandavo la seconda sezione della 6ª Batteria del 2° Gruppo dell’11° Reggimento Artiglieria del 1° Raggruppamento Motorizzato Italiano) alle 5,30 concentra il fuoco contro le postazioni nemiche e fanti e bersaglieri, superata la base di partenza, infrangono le prime difese nemiche e puntano sulla parte alta del monte, quota 343.

Fin dal primo momento la lotta si manifesta aspra e cruenta.
La fitta nebbia fu una benedizione a metà, perché dette la possibilità alle compagnie principali di prendere il nemico di sorpresa, ma impediva il supporto dell’artiglieria necessario; l’ufficiale addetto al tiro, dall’osservatorio grida al Comando: "Chiedono fuoco... ma dove sparo se non so dove sono le avanguardie... non vedo niente!"
I fanti arrivano combattendo su un pianoro... ma... ahimè... la nebbia, di colpo sparisce, ed i poveri fanti e bersaglieri si trovano su un terreno senza alcun punto di difesa, allo scoperto e sono bersaglio facile per i tedeschi nascosti entro le loro buche e fortini, e giocano al tiro bersaglio come se fossero in un baraccone da fiera paesana.

Il capitano Enzo Corselli si lascia dietro un ostacolo dopo l’altro, lungo la linea di cresta, perdendovi però la totalità degli ufficiali e numerosi uomini di truppa.
Pier Antonio Muttoni, allievo ufficiale dei bersaglieri, con la sua compagnia viene sorpreso da un violentissimo fuoco di mitragliatrici e di mortai, si hanno i primi morti e feriti, sparano da tutte le parti, dalle postazioni che sono di fronte, dalle caverne, dal fianco, dal terrapieno, dalla linea ferroviaria e dire che il rapporto degli americani aveva detto ai nostri Comandi "Monte presidiato da alcune mitragliatrici c’è solo un velo protettivo" e Muttoni:... "alla faccia degli americani".
Ed io avendo combattuto per 18 mesi con loro dico: "Sempre faciloni questi americani... ma chi paga siamo noi". La 2ª Compagnia è letteralmente decimata, il Tenente Collina si abbatte al suolo con una scapola infranta. Il Tenente Camporota avanza alla testa di un gruppo lanciando bombe a mano ma dopo pochi metri si accascia con il cranio sfracellato da una granata nemica.
 Attacco a Montelungo Pochi istanti dopo il Sottotenente Cederle è ferito gravemente ad un braccio, non molla e continua a risalirela china... grida più volte: "Avanti... avanti... la quota è nostra" e continua la sua corsa finché, nell’intento di balzare entro una caverna, una raffica da distanza ravvicinata lo falcia.

Il Sottotenente Gaj, milanese, attacca con bombe a mano, getta una bomba contro una postazione nemica e viene seguito da un gruppo di coraggiosi come lui..., un difensore tedesco gli si para avanti a mani alzate e viene da lui stesso catturato. Gaj, per consegnare il prigioniero, si volta indietro ma... non vede più nessuno dei suoi... sono morti o feriti dietro le sue spalle... la lotta continua e poco dopo anche Gaj cade.
Guido Branzoni da Erba, è perito chimico e il 1942, un anno prima l’azienda ove lavora, aveva chiesto il suo collocamento in congedo. Alla partenza, nel salire nell’ autobus per ritornare al suo paesino, i compagni lo avevano visto cupo, commossi addii, malinconia delle prime ore senza il loro Tenente.
Alla sera stessa Branzoni era ritornato pieno di allegria: aveva stracciato il foglio di richiesta della ditta. Ora dopo la battaglia viene trovato morto accanto ai corpi di quattro suoi soldati che lo avevano seguito all’attacco.
Cade l’allievo ufficiale Mario Cheleschi, studente universitario romano. Poco prima di partire per il fronte scrisse il suo testamento... presago: "Lascio da uomo questa vita, non inquieto, ma sereno".
Ludovico Luraschi di Pola, un volontario di soli diciassette anni arruolatosi in un reparto di pronto impiego dopo aver abbandonato l’accademia navale, muore senza un gemito, sotto i colpi della mitraglia.

Non mi dilungo, potrei citare altri episodi certi, ma non posso riportare quelli che nessuno riporterà; i protagonisti sono morti nella lotta senza che un compagno possa ricordare il valore del soldato italiano in questa tremenda battaglia.
Alla fine della giornata si contano 47 morti e 102 feriti, fu un vero salasso per le truppe italiane.
Di questo primo assalto a Monte Lungo delle truppe Italiane, il Medeghini, ufficiale nel mio Gruppo, scrive: "Vi fu da parte di chi ordinò l’azione una non lieve leggerezza, perché le truppe italiane furono spinte a incunearsi nel dispositivo nemico ancora saldamente tenuto senza che ai loro fianchi si fossero svolte o almeno si stessero svolgendo quelle azioni offensive che erano state preannunciate e che solo avrebbero potuto giustificare una fondata speranza di successo, su un obbiettivo particolarmente difficile quale quello di Monte Lungo.
Senz’altro quell’attacco era stato preparato e condotto con una tecnica da passeggiata, da effettuarsi lungo la linea di massima pendenza, e non si era tenuto conto degli eventuali imprevisti, anche di carattere meteorologico, che avrebbero potuto verificarsi durante lo svolgimento dell’azione".

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