Il 27 maggio assieme a due artiglieri, Marianelli Pompilio e Piana Luigi, con la stazione radio sono comandato,(sempre io), a recarmi in un paesino, non ricordo il nome, ai piedi di Monte Mare.
Caricato tutto il materiale
su un trattore parto alle 5 del mattino assieme agli artiglieri. Arrivo
sotto il monte ed un maggiore di fanteria mi dà le
disposizioni: andare assieme al capitano comandante e la compagnia su
per il monte, alto 2020 m., e comunicare con il mio Gruppo per
eventuali interventi dell’artiglieria.
Si fa presto a dire sali con la fanteria su per il monte,
c’è la stazione radio da portare, non sono due
telefonini dei nostri giorni che pesano pochi grammi. Sono due
scatoloni
di latta dal peso di circa 35 chilogrammi ciascuno ed ingonbranti; come
fanno i due artiglieri a portare questi scatoloni su per un monte,
senza segno di sentiero, con mitra e zaino sulle spalle?
Giro per il paese disabitato, entro nella chiesa trovo delle garze
insanguinate, "qui si è combattuto" è il mio
pensiero,
esco e con grande gioia vedo un asinello con la briglia attaccata alla
maniglia di una porta, entro, trovo un’unica persona che
interrogo e vengo a sapere essere il proprietario del
quadrupede.
"Ti sequestro il tuo asino e te lo restituirò a missione finita, ti faccio la ricevuta di consegna". Lui non vuol saperne, ed io proseguo: "Poche storie, se fossimo tedeschi non avresti fiatato perché ti avrebbero fatto la pelle". Capisce e dopo un pò: "Tenente vengo io assieme al mio asino a portare la radio". Soggiungo: "Guarda che puoi lasciarci la pelle"... lui di rimando: "Non m’importa vuol dire che ho servito anch’io alla liberazione dell’Italia da questi fetenti".
C’incamminiamo, e dopo un pò comincia la salita. Tutta la compagnia in fila indiana. Avanti, due cercatori di mine con l’apparecchio sempre ronzante per captare ogni insidia, dopo due metri il capitano la compagnia, subito dietro il sottoscritto, dopo i due artiglieri, il contadino con l’asinello e via via tutta la truppa.
A metà costa una pattuglia
alla nostra sinistra spara, ci fermiamo accovacciati, altri spari per
cinque minuti e poi udiamo una voce: "Via libera, i tedeschi si sono
ritirati".
Seppi dopo che un nostro combattente era stato colpito a morte, del
nemico nessuna notizia.
Si prosegue con il fiato
grosso; verso mezzogiorno un ordine fa interrompere la marcia, le
nostre pattuglie hanno raggiunto la cima di Monte Mare,... i tedeschi
hanno preferito una precipitosa ritirata al combattimento, avendo visto
l’entità della nostra forza.
Ritorno a casa con gioia per tutti, compreso il contadino proprietario dell’asinello. Vengo a sapere nel frattempo che la mia batteria, sullo sviluppo degli avvenimenti, si è trasferita a Cerri. Invertiamo la marcia e scesi al piano percorriamo circa sette chilometri per arrivare alla batteria. Nel ritorno camminiamo in fila indiana: l’asino con il contadino, il sottoscritto e dopo i due artiglieri.
Incontriamo a metà strada un automezzo con sopra dei soldati che vedendoci ci salutano festosi per l’avanzata delle truppe italiane. Dopo un pò sento un forte boato e voltandomi vedo una colonna di fumo nero levarsi al cielo. Penso: "Non può essere un colpo di cannone nemico... no... questa è una mina". Mi precipito verso la valle e dopo la curva a circa duecento metri una scena orribile. L’automezzo facendo la curva, con la ruota destra, aveva toccato il bordo della strada, ed era completamente esploso, con corpi di soldati sparsi da tutte le parti, uno era stato scaraventato sopra un albero.
Sopraggiunge gente e con un automezzo portano via i feriti. I morti sono sei. Noi nel salire eravamo passati, sul bordo sinistro della strada, sopra la mina, ma essendo questa graduata per un peso molto superiore del nostro, non era scoppiata. Il pensiero corre allora ai fatti: "Signore ti ringrazio, anche questa volta è andata bene".
Appena rientrato in batteria dò due soldi, dei miei, al contadino mentre Arvat mi preparava la cena: era dalla sera antecedente che non mangiavo, chiesi della gallina bianca. Con il trambusto dell’improvvisa partenza, nessuno si interessò più della "ruffiana" ed allora Gollio Olivo gli aveva tirato il collo.
Il giorno dopo, pranzo prelibato, gallina in brodo. Il fatto mi fece rimordere un pò la coscienza tra i nostri soliti bei propositi e.. lo stomaco.