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Sei in : La guerra _ Olgiate Olona _  Pagina 1 di 1

Olgiate Olona, cittadina a 2 chilometri da Busto Arsizio, qui vi trascorro circa quattro mesi: siamo alloggiati in una bella villa con sul davanti un grande parco di fitti alberi. 
È il paese dell’ozio, il 25 aprile 1945 la guerra era finita. I soldati, pochi venivano al rancio perché invitati da questa o quella famiglia del paese o da ragazze desiderose di pregiate costicine. Avevo trovato Celso, sarto, e sua moglie Mariuccia che mi consideravano un generale non un semplice s.Tenente, veri amici, buoni, affettuosi e servizievoli. Celso mi ricordava il sarto del mio paese Luigi Gatto, amico di famiglia dove, a casa sua spesso trascorrevo le serate. 

Le amichevoli ragazze, quando vedevano un soldato erano attratte come le allodole quando vedono i luccicanti richiami del cacciatore. Qualche sera ti trovavi con due ragazze a braccetto ed allora al primo soldato che incontravi chiedevi se fosse libero per affibiargli una delle due:"No signor tenente, sono occupato" era la solita risposta che ti davano!
Avevo Piera (la saggia), Stefania (la oca), Mercedes (la morbosa) ed altre di poco pregio, cosa di qualche sera. Era come un continuo lavoro scandagliato lungo la giornata con termine verso le cinque del mattino. Una mattina mentre stavo rientrando trovo una vecchietta, stava andando in chiesa per la prima messa, e vedendomi mentre sto oltrepassandola mi dice: "Bravo soldato tu sei un buon cristiano che ti alzi presto alla mattina per la santa messa". Preso alla sprovvista: "Nonna si fa quel che si può". Certo non quello che intendeva lei.

A Busto Arsizio c’era un campo di raccolta di macchine preda bellica, di tutti i tipi: tedesche, francesi, italiane, ed ogni sera una pattuglia montava la guardia comandata da un sottufficiale e da un ufficiale, quest’ultimo doveva effettuare nella notte un’ispezione. Tutti i soldati volevano andare di guardia quando c’era il s.Tenente Moro, sapevano che l’ispezione, se c’era, era breve e superficiale. Potevano così smontare le gomme degli automezzi e venderle ai borghesi che abitavano nelle vicinanze, a prezzi che in quel periodo erano rilevanti (una ruota 40.000 lire e la mia paga era 4.000 lire al mese). 
Il Maggiore un giorno mi chiama e garbatamente mi accenna al commercio "Gomme" e che: "Devo farmi visitare da uno specialista perché ho la vista corta". Rispondo: "Signor Maggiore Lei ha ragione; per certe cose ho la vista corta, ma cosa hanno avuto i nostri soldati in questi 17 mesi trascorsi in mezzo a cannonate, facendo una vita da combattenti mentre tante altre persone, sia del nord che del sud stando a casa hanno fatto soldi con poco lavoro e nessun pericolo pendente sopra la loro testa, mentre questi alzandosi al mattino non erano sicuri di far altrettanto il mattino dopo, con i quattro soldi che hanno avuto dal governo.
Se ora portano a casa qualche biglietto da mille, non sono stati ancor pagati di quello che hanno fatto e sofferto... Sul mio nome giuro che nessun ufficiale è immischiato in questo e il nome del nostro Gruppo è ricordato per ciò che ha fatto sul campo di battaglia e non per queste inezie". 

Rimane per un pò in silenzio poi guardandomi: «Ho parecchi ufficiali al mio comando, tutte brave persone, tu sei umano, piacevole, attaccato al soldato, un pò birbantello e tu lo sai dove, ti avevo chiamato per dirti questo e non altro. Ora che lo sai puoi andare... ciao», «Ai suoi comandi Signor Maggiore». Salutai ed uscii. 
Questa, per il Maggiore Vitello fu la mossa più strategica in tutta la sua campagna nella Guerra di Liberazione. Dormivo al primo piano, in camera con il s.Tenente Ezio Tosi, triestino, sotto il piano terra c’era da una parte la mensa ufficiali, più a destra la cucina e sul fondo una stanza grande con partigiani armati di tutto punto per testimoniare, con la loro presenza, la partecipazione alla lotta contro i tedeschi! 

Una notte mi sveglio di soprassalto per una nutrita sparatoria di fucili, pistole, mitra. M’interrogo con Ezio: «Ma questi chi sono che sparano a guerra finita»? Apriamo una finestra e con precauzione sporgiamo la testa fuori dal davanzale. Spari da tutte le parti; da sotto, dal giardino di alti e grossi alberi, peggio della battaglia per la presa di Filottrano. Ad un tratto sentiamo un botto sopra le nostre teste... un proiettile si era conficcato a 20 centimetri sopra di noi sullo stipite del balcone. Arrabbiati  prendiamo le nostre pistole e fuoco a volontà.
Ezio dopo aver sparato vari colpi credendo il caricatore scarico porta la canna in posizione di sparo parte un colpo dalla sua pistola... il proiettile sfiora il mio naso e si conficca nel muro che è di fronte a noi... sollevando una quantità di polvere, di calcinacci e piccole schegge di mattone... Restiamo impietriti entrambi... poi Ezio... ride... Io dico «Ma situ mato, vutu che ghe asa e pene proprio adesso par sti quatro stronsi».
Ezio: «Te ga rason Gianni... che i vaga farseo metar... sti partigiani de merda». Ricarica la pistola chiude il balcone e ritorniamo a letto. Dopo un pò il s.Tenente Pico scende e dimostrando più coraggio dei partigiani imbraccia il suo mitra si dirige, a testa alta, addentrandosi nel giardino e spara raffiche ad ogni albero con l’intento di far secco qualsiasi intruso, con somma meraviglia degli acquattati combattenti dell’ultima ora. 

Al mattino seppi che quelli che avevano assaltato la villa erano altri partigiani che volevano dare una lezione a chi aveva, nei giorni scorsi, fatto un bottino, diciamo di guerra, non dividendo la refurtiva.  

Altre notti successero ancora delle sparatorie ma noi "Non ti curar di lor ma odi e dormi".